Il passato là e il presente qua
Di Marilia Piccone - Stradanove.net
Recensione a
Perché non sei venuta prima della guerra? LE DONNE DI LÀ SI INCONTRAVANO PER IL CAFFÈ DELLE CINQUE DA HELENA,
qua. In questa frase che inizia uno degli episodi del libro di Lizze
Doron c’è già tutto lo stile di “Perché non sei venuta prima della
guerra?”. La capacità di parlare dell’Olocausto senza mai riferirsi
apertamente ad esso. Solo una volta troviamo il termine Shoah, che
letteralmente significa ‘catastrofe’, nel capitolo in cui la
protagonista è Sarale, un rottame di donna che vorrebbe testimoniare
contro Eichmann. Non glielo permettono, perché non è sana di mente.
E allora Helena, che perora la sua causa, dice che quelli che sono
rimasti sani di mente devono aver passato una Shoah leggera. Quanto a
Sarale, basterebbe che stesse in piedi al banco dei testimoni, perché
tutti vedano quale shoah Eichmann le ha provocato nell’anima. Ecco, è
la shoah dell’anima che si lascia vedere, con pudore, quasi con
vergogna, nei sopravvissuti. In Helena e nelle sue amiche. Che vengono
tutte da là, il paese che neppure si vuole nominare, con cui nessuno
vuole avere nulla a che fare. E infatti in una delle storie (tutte
molto belle, molto discrete seppur molto dolenti, perché un umorismo
leggero riesce a far breccia persino nel dolore), Helena opera una
strana selezione dei regali che la figlia ha ricevuto per il bat
mizvah.
Finché un ragazzino scopre che quelli che sono stati
scartati sono accomunati dal marchio ‘made in Germany’. C’è una cosa
che è rimasta uguale, tra là e qua- l’abitudine del caffè delle cinque-
ma quanto si può indovinare di non detto nel tempo tra l’allora del là
e l’adesso del ‘qua’! Nell’incapacità di sentire qualunque dolore di
Itta; nel pianto di Djusia per quello che non sarebbe mai stato; negli
insulti generici che le quattro donne si sfogano ad urlare; nel rifiuto
di invocare Dio, perché “se non ha risposto allora, cosa lo chiami a
fare adesso?”.
E’ una domanda spesso sottintesa- dove era Dio,
allora? E’ la domanda che ci si continua a porre, a più di mezzo secolo
di distanza. Quella che ci si pone davanti a tutte le catastrofi del
nostro mondo. Nel libro della Doron Helena ha un conto aperto con Dio-
nel bellissimo episodio di “Kol Nidré” Helena si infila nei banchi
degli uomini per dire la sua preghiera di suffragio, e, no, non ha
sbagliato, nessun uomo della sua famiglia è rimasto in vita, “Tu sai
perché proprio io”, dice a Dio, come per sfida. Sarebbe meno grave se
Helena riuscisse ad ignorare Dio, invece no, Helena si fa beffe di Lui
che non è stato capace di salvare il suo popolo, offende il Dio unico
di Israele rimpiangendo che non ce ne siano due, di Dio, “Perché quello
che abbiamo ha sbagliato, e non c’era un altro Dio che correggesse lo
sbaglio…Peccato, peccato che ce n’è uno solo e non di più.”
Eppure Helena non si chiude nel suo dolore, è capace di vedere quello
degli altri, non è solo la guerra che lei ha vissuto che le fa orrore-
alla fine della guerra del 1967, dopo un giro in auto ai luoghi santi
riconquistati, Helena infila un bigliettino nel Muro del Pianto: chiede
a Dio che si impegni a far cancellare le guerre, i soldati e i luoghi
santi. Soltanto che ha scritto il messaggio in tedesco. E Dio è da
tanto tempo che non ascolta più le preghiere in tedesco degli ebrei:
con l’umorismo discreto a cui abbiamo accennato, con una sola frase
Helena (e Lizze Doron) ci dice che è una preghiera impossibile e che ci
sono molti dubbi sull’opportunità di usare il tedesco per pregare.
E’ vero che questa donna, che si tingeva i capelli perché solo i biondi
non vengono uccisi, che affittava una stanza ad un uomo perché la gente
pensasse che lei aveva un marito, che andava in giro per Israele in
cerca di qualcuno che fosse ‘famiglia’, avrebbe meritato un premio per
la capacità di sopravvivere: aveva chiuso in una valigetta la divisa a
strisce, gli zoccoli, una stella gialla. E l’odore di morte.
Lizze Doron riesce a fare qualcosa che non è facile: a farci
appassionare ad un personaggio raccontandoci la sua storia senza un
ordine, ma procedendo per ‘quadri’, e a ricordare l’immane tragedia del
secolo XX in una maniera decisamente nuova e incisiva.