Lizzie Doron parla del suo nuovo romanzo "Giornate tranquille" (Libri Come - 25.3.10)
Giornate tranquilleIl
salone di parrucchiere di Zaytshik è il punto di ritrovodi un piccolo
quartiere di Tel Aviv – non solo per la vedova Lèale, che amaZaytshik,
ma anche per i suoi vicini, quasi tutti sopravvissuti alla Shoah. È
quiche dopo anni di silenzio cominciano timidamente a raccontare la
loro storia. Anche in questo suo nuovo romanzo, premiato da Yad
Vashemcon il premio Buchman, Lizzie Doron ci parla con lieve umorismo e
calda compassionedi un dolore che non può passare, della ricerca di un
po’ di felicità, deltenace aggrapparsi a una vita che a molti non
sembra più degna di esserevissuta.
LizzieDoron è nata a Tel Aviv
nel 1953, dove vive tuttora. I suoi libri hannoriscosso un grande
successo di pubblico e di critica e hanno vinto numerosipremi tra cui,
in Italia nel 2009, il premio Adei-Wizoe il premio Alziator per scrittoridel Mediterraneo. Di lei la Giuntina ha già pubblicato Perché non sei venuta prima della guerra? e C’era una volta una famiglia.
C'era una volta una famiglia
«All'inizio
degli anni cinquanta, nello Stato d'Israele nacque un nuovo paese, il
paese di qua. In questo paese vive un popolo estraneo che viene dalla
terra di là. I suoi abitanti sono giunti qua contro la loro volontà;
uniche loro proprietà: una lingua straniera, strane usanze, ricordi e
incubi. Dopo il caos della terra di là, si imposero il compito di dare
vita a una nuova creazione, e costruirono un nuovo mondo. Nel paese di
qua vive anche Helena, mia madre, dopo che era morta nella seconda
guerra mondiale, e qua, da sola, mi ha cresciuta. All'inizio degli anni
novanta, dopo che mia madre è morta per la seconda volta, si sono
riuniti e sono venuti a porgerle un ultimo saluto coloro che ancora
erano rimasti nel paese di qua; e riportarono in vita quelli che non
c'erano più. E quella terra, che con i suoi morti giace moribonda da
ormai molti anni, risuscitò: per sette giorni tornò di nuovo in vita un
paese sconosciuto, un paese che mi è stato patria e famiglia. E questa
è la sua storia».
Perché non sei venuta prima della guerra?
«E
ogni anno , al momento di cantare 'Uno è il nostro Dio',
Helenasospirava e in una sorta di controcanto chiedeva: "Perché non
due?Perché non due?", e poi spiegava il significato di quella
domanda:"Perché quello che abbiamo ha sbagliato, e non c'era un altro
Dio checorreggesse lo sbaglio". E in una tremenda afflizione
aggiungeva:"Peccato, peccato che ce n'è uno solo e non di più"».
Unlibro
assolutamente nuovo sulla Shoah, di cui non si parla maiespressamente
ma che affiora oscura e devastante solo attraverso leferite e i
fantasmi che ossessionano Helena. Una figura di donna che,indomita,
riesce a trasformare l'esperienza del dolore in una visionedel mondo
libera da ogni sovrastruttura e condizionamento. Come seriuscisse a
fissare l'essenza del bene e del male senza bruciarsi gliocchi e
l'anima.