RECENSIONE DI MARILIA PICCONE - WUZ.IT
“Alla fine dovettero chiamare la polizia del paradiso. Sul posto
volarono diversi angeli in uniforme verde e, non senza penare,
riuscirono a legare Simon Ber, che poi portarono a smaltire la sbornia
nella prigione del paradiso.
Quanto alla moglie di Simon Ber, anche lei faticò a riprendersi e venne trasportata a casa più morta che viva.
‘Proprio
questi giorni doveva scegliere per sbronzarsi’ mormoravano gli
tzaddikim. 'Quel Simon Ber…sarebbe meglio fosse un angelo cristiano e
non un angelo ebreo!’”
Secondo la tradizione ebraica i bambini, prima di nascere, vivono in paradiso come angioletti.
La
tradizione ebraica aggiunge che gli angeli che stanno per diventare
bambini ed essere inviati sulla terra dimenticano tutto quello che hanno
visto e appreso: ci pensa un altro angelo a farli dimenticare, dandogli
un buffetto sulla bocca.
“Il libro del paradiso” di Itzik Manger
prende l’avvio da qui, con un angioletto, Shmuel Abe, che sta per
nascere come bambino e però, grazie ad un trucchetto che gli insegna il
piccolo amico Pisherl, sventa lo schiaffetto che dovrebbe fargli perdere
la memoria e, una volta arrivato nella sua famiglia terrena, racconta
come è il tanto favoleggiato ed ambito paradiso ad un pubblico composto
da padre e madre, dal rabbino e da altre due personalità dello shtetl,
lasciandoli esterrefatti.
Non per niente il titolo originale, in
yiddish (Itzik Manger è uno dei pochi scrittori di lingua yiddish
sopravvissuto a Hitler e a Stalin), è “La meravigliosa descrizione della
vita di Shmuel Abe Abervo”, in cui l’aggettivo ‘meravigliosa’ suona
ironico. Nel senso letterale del termine e cioè ‘dare alle parole il
significato opposto’.
Incominciamo dall’angelo Simon Ber che ha il compito di accomiatarsi
dagli angioletti nascituri: è sempre ubriaco fradicio, con le ali sempre
strapazzate. È per questo suo vizio del bere che riesce facile a Shmuel
Abe imbrogliarlo ed evitare lo schiaffetto sulla bocca.
Un angelo sbronzo in paradiso, ma via!
Eppure è solo l’inizio, aspettatevi molte altre sorprese. Divertenti, sconcertanti, dissacratorie, smitizzanti.
Perché naturalmente il paradiso è abitato da ‘mostri sacri’ dei
testi religiosi, da Abramo a Giacobbe, da re David a Salomone. E se
l’immaginazione popolare vedeva patriarchi barbuti con vesti bianche
come il biancore della loro anima, i racconti di Shmuel ci prospettano
qualcosa di interamente diverso.
Re David cerca di sedurre Shulamit
(la fanciulla per cui Salomone canta “Il cantico dei cantici”), re Saul
sfida re David, Betsabea (moglie di re David) va a consultare una
fattucchiera… Le notti, ah, le notti dei re!
C’è parecchio da spiare e da raccontare, sulle loro notti. Altro che comportamenti irreprensibili.
Ancora:
per chi ci sperava, non c’è uguaglianza in paradiso. Niente affatto. Ci
sono angeli che svolgono un lavoro duro nei campi, angeli straccioni
con le ali rattoppate (bel tocco surreale, quello dell’angelo sarto che
ripara le ali). Non è vero che tutti sono finalmente felici in paradiso.
Ne è la prova l’angelessa che è impazzita per amore.
Ancora: neppure in paradiso c’è fratellanza e superamento delle discordie religiose, perché ci sono parecchi paradisi.
Il paradiso ebraico confina a ovest con il paradiso cristiano-ortodosso e a est con quello musulmano.
Il
paradiso cristiano è abitato da antisemiti, quello turco da imbroglioni
e ladri: alla frontiera con il paradiso turco si deve sorvegliare il
contrabbando di tabacco… E, quando lo “shorabor”, il bue allevato per
essere mangiato quando arriverà il Messia, sconfina nel paradiso
cristiano, Shmuel Abe e Pisherl sono incaricati di contrattare il suo
rilascio: un’altra avventura per i due angioletti che termina con
Pisherl malato d’amore per un’angelessa cristiana con cui è impossibile
convolare a nozze.
Ma allora, se non possiamo consolarci delle sofferenze terrene pensando che niente di quello che ci affligge qui sarà anche ‘là’, che cosa ci resta? Che in paradiso non dovremo più temere la morte. E non è poco, mi vengono in mente i versi di John Donne, “Morte, tu morirai”.
“Il libro del paradiso” è considerato un classico della letteratura yiddish, da leggersi di per sé perché l’inventiva del racconto è allo stesso tempo divertente e rattristante, e perché è il relitto di una cultura scomparsa nel grande fuoco dell’Olocausto.
Un dettaglio curioso: Itzik Manger è nato nel 1901 a Czernowitz. Che cosa c’era nell’aria di quella cittadina dell’estrema provincia dell’impero austro-ungarico per dare i natali ad un numero così alto di grandi scrittori? Faccio solo alcuni nomi: Paul Celan, Gregor von Rezzori, Aharon Appelfeld, ma ce ne sono altri.