A fil di rete
di Aldo Grasso - Corriere.it
Era solo un breve ritratto, ma sono stati minuti di grande intensità, a ricordo di quando la Storia s'intorbida intensamente di crimini. In occasione del Giorno della Memoria, Hallmark (canale 128 di sky, giovedì, ore 20.55) ha proposto la figura di Luciana Nissim Momigliano, medico e psicanalista, sopravvissuta ad Auschwitz. Aveva 24 anni, si era appena laureata in medicina a Torino, quando fu presa dalla milizia di Aosta insieme a due amici, Primo Levi e Vanda Maestro: era poco dopo l'8 settembre 1943 e loro tre si erano uniti in montagna a una banda di ragazzi: "Non si chiamavano ancora partigiani", ricordava. Furono portati al campo di Fossoli e dopo tre mesi trasferiti in Germania.
Si sarebbe salvata perché, mentre veniva tatuata e rapata, riuscì a dire "Ich bin Arztin", sono una dottoressa. E la mandarono in infermeria. Al ritorno sposò l'economista Franco Momigliano "che faceva già parte della mia vita" e con lui animò quella irripetibile stagione "illuminista" dell'Ivrea di Adriano Olivetti. Attraverso foto, immagini, un video tratto dall'USC Shoah Foundation Institute for Visual History and Education, findata da Steven Spielberg, e un'intervista ad Alessandra Chiappano, autrice del libro "Luciana Nissim Momigliano: una vita", riaffiora la straordinaria personalità della Nissim. Nel 1946, a ridosso della Liberazione, pubblicò la sua testimonianza "Ricordi della casa dei morti", uno dei primi scritti sulla realtà dei campi nazisti. Dopo, per anni, di quella follia e di quegli orrori, portò sempre testimonianza col numero di Auschwitz tatuato sul braccio sinistro, ma si dedicò con impegno totale alla professione, diventando una delle più affermate psicoanaliste italiane. Soltanto nel 1992 (sei anni prima di morire) parlò ancora della sua deportazione per il libro "Mi pare un secolo" di Paola Agosti e Giovanna Borgese. Non invano si ricorda la Shoah.