Shulim Vogelmann: Signor Kenaz, lei ha introdotto nella letteratura israeliana una scrittura intimista. Prima di lei c’era la letteratura esclusivamente politica, ideologica
Yehoshua Kenaz: Sono sempre imbarazzato quando un critico letterario dice che la descrizione di una cosa è ‘keneziana’, come se fosse un marchio commerciale. Spesso sono caduto nel racconto di ciò che accade in un condominio, e questo soprattutto perché, per me, in un condominio esiste un vero e proprio microcosmo.
S.V.: ‘La grande donna dei sogni’, ci parli di questo libro.
Y.K.: ‘La grande donna dei sogni’ è stato di fatto il mio secondo libro , ma per me è il primo. Il primo libro lo disconosco (‘Aharei Ha-Hagim’ è stato il primo libro di Kenaz n.d.r.). Quanto all’immagine del condominio esso è diventato il sinonimo di Tel Aviv. Negli ultimi anni, infatti, si è decisamente svolta una rivoluzione silenziosa perché i padroni di casa hanno affittato gli appartamenti e se ne sono andati a vivere altrove, in abitazioni più ampie e confortevoli. Le case, evidentemente, vengono soprattutto affittate a giovani e come potete immaginare, questi condomini diventano veri miscugli generazionionali. La figura dell’amministratore di condominio, poi, la conosco bene. Lo sono stato e, credetemi, è un compito triste, ingrato, e io ho sofferto tanto (ride).
S.V.: Come ha iniziato il suo percorso di scrittore lei che vive sei mesi a Parigi e sei a Tel Aviv?
Y.K.: Arriva sempre il momento in cui mi fanno questa domanda e…sapete…io , davvero, non lo so. A quanto sembra, uno scrittore ha una sete che non riesce a placare, e così, nel tentativo, non gli rimane nient’altro da fare che iniziare a scrivere.
Bene, ecco come è andata: negli anni ’60 ero a Parigi e un giorno per posta mi arrivo’ un pacco, dentro c’era una rivista letteraria. Fino ad allora non avevo come primo obiettivo quello di essere un letterato. Infatti, fino a quel momento, avevo solo compiuto studi di arabo a Gerusalemme e poco altro. Insomma, apro il pacco e prendo la rivista. Sopra c’era un biglietto di una amica che sulla prima pagina aveva scritto:’’se apri la rivista troverai un racconto di Tizio ’’. Be’ scopro che la persona che aveva scritto sotto pseudonimo altri non era che Gideon Goldberg . Questo Gideon, quando ero bambino, viveva nella casa accanto a quella dei miei, e nel suo giardino c’era un’altalena. Io adoravo questa altalena, ma ogni volta che Gideon tornava a casa e mi ci vedeva sopra, mi riempiva di botte. Io non ero bravo in queste cose, ma lui sì, e ne prendevo sempre di santa ragione. Tornavo a casa e mia madre mi diceva ‘’Non ci andare più su quell’altalena!’’. Be’, a quanto pare, credeteci o meno, a questo Gideon era rimasto un peso sulla coscienza per quello che mi aveva fatto, e io quando ho visto che persino lui scriveva mi son detto ‘Merde alors! Ce la posso fare anche io!’’ ed è così che è andata. Ho mandato il racconto alla rivista e una settimana dopo l’editore mi ha scritto per dirmi che gli piaceva e che gliene mandassi ancora. La trappola era scattata.
Domanda dal pubblico: Lei descrive le persone solo con l’utilizzo dei loro sentimenti e descrive la società israeliana e le diversità culturali con perizia, e mi creda, lei parla delle donne come se fosse una donna. Lei descrive gli arabi così come descrive gli ebrei e io, che sono di origine araba, la volevo ringraziare.
Y.K.: Sono io che ringrazio lei. Davvero, la ringrazio molto.
S.V.: Parliamo di ‘Voci di muto amore’.
Y.K.: Sì, parliamone. Ebbene, vi dirò come è nato questo libro. Andai a Oxford per un periodo, e poi tornai a Tel Aviv. All’epoca abitavo al terzo piano di un condominio. Un giorno torno a casa e sento una voce di donna che mi dice ‘Hallooo!’. Mi giro e vedo una donna anziana. Lei mi spiega che abita al quarto piano e che ha bisogno di aiuto, io, ovviamente, mi rendo disponibile. Ebbene, da allora diventai il suo schiavo. Dovete sapere che lei aveva problemi di salute e che i condomini di Tel Aviv non hanno ascensori , quindi, lei aveva davvero bisogno di tutto. La parrucchiera andava da lei due volte la settimana, il venerdì, poi, la accompagnavo io all’ospedale al posto di fare di conversazione con la professoressa di inglese. Pensate che una volta mi mandò anche a comprarle un reggiseno! Mi disse ‘Porto la 40’, e io vado al negozio di intimo, chiedo un reggiseno taglia 40, quelli mi guardano e mi dicono che non esiste. Io divento paonazzo. Ho cercato di spiegare che era per una persona anziana, facendo gesti con le mani per far capire la taglia. Imbarazzante. Ecco, questa era la protagonista del mio libro. Era una donna vera, molto egoista, stupida, persino, ma io fui suo schiavo per diverso tempo (ride).
E soprattutto per me, ‘Voci di muto amore’ è stato il mio primo vero libro importante, anche se cronologicamente, come già vi ho detto, non è stato affatto così.