ANTICIPAZIONE://IL PICCOLO BIG BANG

Benny Barbash - Il Piccolo Big Bang

1.

Causa ed effetto

Il mio papà è grasso. O meglio, il mio papà era
grasso finché non sono iniziate a succedergli strane
cose, cose così assurde che chi le leggerà non ci crederà
che possano avvenire. Ma di queste parlerò solo
in seguito, quando accadranno. Per il momento non
sono ancora successe, e io devo tornare al mio papà
grasso per il cui grasso tutto è iniziato, ancora prima
che qualcosa succedesse per davvero, come avviene
sempre con gli inizi improvvisi, che prima di loro non
c’è niente che possa essere una causa di ciò che verrà
dopo.
La questione degli inizi che iniziano dal niente,
senza che prima di loro sia successo qualcosa che li ha
causati, è una questione molto difficile da capire. La
maggior parte delle persone che sono piuttosto intasate,
come dice il nonno, sono abituate a pensare che una
cosa deve sempre succedere prima o dopo un’altra cosa,
come il venerdì che viene prima del sabato, o come
noi che andiamo in bagno dopo aver mangiato, o per
esempio come quando si tira in aria una pietra – naturalmente
a una velocità inferiore di undici chilometri
per secondo che è più o meno la velocità di fuga dalla
terra – che arriverà a una certa altezza e poi inizierà a
ricadere giù. Questa caduta è assolutamente necessaria
e non è legata alla mia volontà, o a quella della pietra,
e se anche la pietra fosse capace di pensare e pensasse
che sta cadendo solo perché vuole cadere, sbaglierebbe
senza ombra di dubbio, come sbagliano tante persone
che credono che stanno facendo qualcosa solo perché
lo vogliono mentre invece non hanno altra scelta. Anche
la pietra cade perché non ha altra scelta, ma se già
sta cadendo, allora preferisce pensare che è quello che
ha scelto di fare, perché altrimenti tutta questa storia
della caduta sarebbe davvero spossante.
Naturalmente ci sono esempi di catene più lunghe
di cose che vengono una dopo l’altra e che sono legate
una all’altra. Per esempio, se accendi un fiammifero
(1) e lo avvicini troppo alla treccia di Lital che sta seduta
in classe davanti a te (2), la treccia comincerà a
bruciare (3), e abbastanza presto Lital si alzerà dalla
sedia (4), griderà che la sua testa sta bruciando (5) e
da tutte le parti le rovesceranno in testa le bottigliette
d’acqua per spengere l’incendio (6), e il professore ti
spedirà dal preside (7) che farà venire i tuoi genitori
(8) che rimarranno molto delusi di te (9) e tu imparerai
la lezione che non si devono bruciare le trecce
delle tue compagne di classe o quantomeno che è meglio
aspettare l’ultima campanella. E non pensate che
ho fatto una cosa del genere. Si tratta di un semplice
esempio in dieci stadi di cose che succedono a catena,
e una si trascina dietro l’altra, e così via, all’infinito. E
anche il primo stadio non è veramente il primo stadio,
perché si poteva iniziare dall’invenzione del fiammifero,
o persino un milione di anni fa quando l’uomo ha
iniziato a dominare il fuoco.
Però succede che una cosa avvenga all’improvviso,
in un istante, senza nessuna spiegazione logica. E siccome
è un fatto molto raro – fino al caso di mio padre
c’era stato un solo altro esempio datato circa quattordici
milioni di anni fa e chiamato Big Bang – la maggior
parte della gente proprio non ci riesce a comprendere
una cosa del genere. Le persone devono sempre dare
una spiegazione a ogni cosa che non ha una spiegazione,
e spesso sono capaci di dire che è successo un
miracolo. Un miracolo è una specie di spiegazione che
dice che non c’è spiegazione, ma la verità è che non
esistono miracoli, anche se molti sono convinti che ci
siano e sono pure persuasi che a loro, proprio a loro
personalmente sono successi non pochi miracoli. Per
esempio, dal più semplice al più difficoltoso:
1) Hai visto sul canale 24 un video del gruppo Pesceserpente
e poi quando scendi giù in strada passa
proprio in quel momento una macchina dalla quale,
a tutto volume, senti la stessa identica canzone che un
attimo prima avevi sentito in casa – e cos’è questo se
non un miracolo?
2) Non hai preparato i compiti di Bibbia e per tutta
la notte hai pregato che il professore morisse; ed
ecco che la mattina, mentre stai andando a scuola, il
professore muore in un incidente stradale – e tu hai
avuto un miracolo delle dimensioni del miracolo di
Chanukkà.
3) Cammini in via Ibn Gabirol lungo il marciapiede
e all’improvviso dal davanzale del terzo piano un
vaso sfugge di mano a un’appassionata di fiori imbranata
con i cacciaviti – e il vaso cade di sotto e ogni
secondo la sua velocità cresce di 9,8 metri al quadrato,
e nel momento in cui si frantuma sulla testa dell’uomo
che sta camminando mezzo metro dietro di te ha già
raggiunto una velocità di circa sessanta chilometri orari.
Se questo pover’uomo, che ha dei gerani mescolati
a quello che resta del suo cervello, potesse pensare,
non c’è dubbio che non penserebbe che gli è successo
un miracolo; ma a te, che camminavi mezzo metro più
avanti, è successo un grande miracolo, perché se avessi
incominciato la tua giornata mezzo secondo prima
quel vaso cadeva sulla tua di testa.
La cosa interessante che è possibile imparare dagli
ultimi due esempi è che un miracolo e una catastrofe
sono molto spesso le due facce di una stessa medaglia.
La salvezza di uno viene a scapito della salvezza di un
altro. Ed è anche facile vedere come i miracoli più che
un fatto scientifico sono un fatto di fede, e dipendono
molto dalla domanda: su quale faccia della medaglia
stai tu quando il miracolo ti casca addosso?
Sulla questione miracoli contro esperimenti ho imparato
molto dalle discussioni tra la mia nonna materna,
che è una sopravvissuta alla Shoah, e il mio nonno
paterno, che è un cosmologo di fama internazionale. A
proposito, dalle sue spiegazioni ho capito che non mi
conviene avvicinarmi troppo a un buco nero perché
mi risucchierebbe a una velocità e a una forza tali che
il mio corpo si allungherebbe come uno spaghetto e la
mia testa sarebbe lontana centinaia di chilometri dai
miei piedi, e poi tornerebbe a ricongiungersi a loro in
una frazione di secondo nel punto singolare, che è, più
o meno, il centro del buco nero, e lì diventerei una
specie di pacchetto così piccolo che al cospetto anche
un virus sembrerebbe un grattacielo.
Quando mio padre, che in quel periodo soffriva
per una delle sue diete, ha sentito il nonno che mi raccontava
questo fatto, ha detto che si trattava sicuramente
del metodo di dimagrimento più rapido ed efficiente
che esistesse nell’intero universo, ma il nonno
ha raffreddato il suo entusiasmo stabilendo che questa
soluzione per il suo problema di grassezza era assolutamente
sconsigliabile. In effetti, il suo volume si ridurrebbe
a dimensioni microscopiche, ma il suo peso
invece aumenterebbe di tonnellate.
La cosa più triste di questa storia del buco nero è
che anche se ti seguissero con dei telescopi supertecnologici
e qualcuno ti illuminasse con dei riflettori potentissimi,
nessuno potrebbe vedere il momento in cui
hai iniziato ad essere risucchiato dal buco nero, perché
il buco nero non assorbe solo il tuo corpo, ma anche le
tue sembianze, e persino i raggi di luce che ti illuminavano,
e questo buio terribile è la cosa più spaventosa.
Ma torniamo alla questione principale, e la questione
sono tutti i racconti della nonna sui miracoli che
le sono successi e grazie ai quali è riuscita a passare
incolume la Shoah, sempre che, come dice il mio papà,
non consideriamo tutti i suoi squilibri. Ma non è
comunque sicuro che questi siano legati alla Shoah.
Ci sono voci che nella sua famiglia c’erano tante teste
strambe già prima che i nazisti salissero al potere, e
dunque può darsi che il problema sia più legato ai geni
che all’ambiente circostante.
All’inizio, quando eravamo piccoli, e la mamma era
giovane, la nonna non raccontava niente e a malapena
sapevamo che aveva passato la Shoah; ma qualche anno
fa la mamma è andata a un seminario sulla seconda
generazione e i conferenzieri le hanno spiegato che la
vita di tutti loro era completamente distrutta, anche se
non se ne accorgevano, e che erano persone tristi e depresse,
anche se a loro pareva di essere felici e allegri,
perché la sofferenza dei loro genitori sopravvissuti si
è infiltrata nei loro cervelli, e soprattutto si è infiltrata
nei cervelli di quei figli i cui genitori hanno scelto di
rimanere rigorosamente in silenzio e non si sono mai
fatti tirare fuori una parola dalla bocca in modo da risparmiare
il proprio passato ai figli. Nessuno schermo
di silenzio, anche il più spesso, è capace di attutire impulsi
così forti di dolore. Il radar sensibile del bambino
li percepisce, come i radar della nasa percepiscono le
stelle pulsar che non è possibile vedere in nessun modo
ma soltanto sentirne gli impulsi elettromagnetici. E
dunque l’unica via per curare ferite così vecchie che
non si sono mai veramente rimarginate è mettere tutto
quanto fuori, e i figli devono far parlare i sopravvissuti
e far sì che abbraccino con le parole l’esperienza che
è celata in profondità dentro di loro, perché ciò che
è detto fa sempre meno male di ciò che non è detto.
Questa era la frase che riassumeva le cose scritte sul
foglio che la mamma ha riportato dal seminario, una
frase con la quale io, per quanto mi riguarda, faccio
fatica ad essere d’accordo. Ci sono un’infinità di cose
che preferisco tenermi dentro la pancia e non dirle mai
e poi mai anche se il signor Torquemada in persona
dovesse torturarmi per estorcermi una confessione.
Alla fine del seminario hanno fatto un esperimento
interessante, durante il quale hanno messo una di
fronte all’altro, davanti a tutti i partecipanti, un figlio
con la madre sopravvissuta che fino ad allora non gli
aveva raccontato nulla, e solo lì, in quell’esperimento,
ha iniziato a parlare per la prima volta del suo passato,
e allora sono scoppiati a piangere, si sono abbracciati,
dopo che per tutta la sua infanzia lei non l’aveva toccato
neppure una volta, se non si contano tutte le volte
che l’aveva ammazzato di botte. Questo esperimento
ha influenzato profondamente mia madre, e anche lei
ne aveva prese parecchie dalla nonna quando era piccola,
e dunque, una volta tornata a casa, era convinta
che anche lei doveva fare quello stesso esperimento
con la nostra famiglia. Ma da noi nessuno si è messo
a piangere, e nessuno si è abbracciato, e i partecipanti
del nostro seminario familiare non sempre si sono
ascoltati educatamente, e addirittura ci sono stati momenti
in cui i non-sopravvissuti hanno iniziato a gridare
alla sopravvissuta e viceversa.
Non è stato semplice convincere la nonna a prendere
parte al seminario. Mia madre ha iniziato a torturare
sua madre riempiendole il cervello di frasi come
«è venuto il momento di far uscire i demoni dalla
bottiglia» e se non lo voleva fare per lei che almeno lo
facesse per i nipoti perché non era più così giovane e
alla fine se le sarebbe portate nella tomba tutte quelle
sensazioni che poi si trasmettono alla seconda generazione
e a volte pure alla terza se non alla quarta, e
i tuoi nipoti gireranno con una sofferenza alla quale
non sapranno neanche dare un nome, perché non sapranno
che cos’è, e questa è la cosa più terribile che
può esserci.
La nonna ha detto che certe volte una sofferenza
senza nome è migliore di una con un nome, e che solo
chi è stato là può capire di cosa si sta parlando, e la
mamma le ha risposto che esattamente di questo stava
parlando, che non può capire di cosa sua madre stia
parlando senza che sua madre ne parli. E quando la
nonna non si è convinta, la mamma è passata a parlare
degli insegnamenti importanti che bisogna fare nostri
affinché cose del genere non risuccedano. Allora la
nonna è diventata triste e le ha chiesto quali insegnamenti
si potrebbero mai trarre da quell’inferno, che è
stato una cosa unica, e che l’unico insegnamento che se
ne può trarre è che da là non c’è nessun insegnamento
da trarre. Una cosa del genere non deve accadere mai
più, punto e basta.
Ma la mamma si è intestardita e ha insistito che era
proprio quello il punto: Cos’è successo esattamente
che non deve succedere mai più? E sua madre ha detto
che quello era un periodo completamente diverso e
che non c’è niente da paragonare tra i giorni di allora e
quelli di oggi, perché allora gli ebrei non avevano uno
Stato che li difendesse, allora erano sparsi per tutte le
nazioni e tutti i goyim li odiavano.
E oggi allora? ha gridato il nonno cosmologo alla
nostra nonna sopravvissuta. E poi ha rigridato: Quale
sarebbe la differenza? Nel frattempo qualcuno si è forse
innamorato di noi? No! Tutti continuano a odiarci,
e forse persino con più forza! E a questo la nonna ha
ribattuto che almeno oggi siamo concentrati tutti in un
nostro Stato e che ci possiamo difendere; ma il nonno
le ha spiegato che questo assembramento in uno spazio
così piccolo giocava a nostro sfavore perché nella
Shoah la nostra frammentazione ha posto una sfida
organizzativa e tecnologica non semplice per coloro
che ci odiavano: come raggrupparci tutti quanti dai
quattro angoli dell’Europa? Come far credere a tutti
quanti che sarebbero andati a fare la doccia? Come
mantenere il ritmo senza che la macchina organizzativa
crollasse? Come bruciare quantità enormi senza intasare
i forni? Cosa fare con la cenere? Questi problemi
oggi non ci sono più perché siamo tutti concentrati
più o meno in un grande campo di concentramento
che da una parte è chiuso da un muro enorme che taglia
il cuore di questa terra a metà come un coltello, e
dall’altra parte c’è il mare, e basta una sola bomba fatta
bene che ci butta addosso Ahmadinejad e tutto questo
paese diventerà un grande forno crematorio con
temperature che la società Topf & Figli che ha costruito
i forni di Auschwitz non ha mai sognato di poter
raggiungere nei loro sogni più rosei. Sono a mala pena
arrivati a millecinquecento gradi, un calore che non
è riuscito a sbriciolare nemmeno le ossa spesse delle
anche; ma la fissione nucleare della bomba che cadrà
in mezzo a Tel Aviv arriverà a cinquemila gradi e così,
senza nessuno sforzo logistico costoso e complesso, in
tre secondi finirà tutta l’operazione che Hitler non è
riuscito a portare a termine in tre anni.
Questa descrizione delle cose ha spaventato assai
la nonna perché subito ha chiesto al nonno se questo
era quello che lui pensava che sarebbe successo, e il
nonno le ha risposto che se in questo posto non verrà
fuori un leader della statura di Begin, con le palle di
Churchill e con la coscienza di Bin Laden, un leader
che non esiti a dare una bella botta preventiva a Teheran,
allora sì, questo è quello che succederà, e poi non
venite a dirmi che non vi ho avvertito prima.
Sono stati questi concetti a convincere la nonna
a rinunciare al suo diritto al silenzio e ad aprire il suo
personale vaso di Pandora, e molto in fretta ci siamo
pentiti di non averla fatta continuare a stare in silenzio,
perché dal momento in cui ha aperto la bocca e il
vaso cose tremende sono iniziate a venire fuori come il
geyser Old Faithful a Yellowstone, e ormai non c’era
verso di richiuderle dentro; e con il geyser almeno ci si
può preparare perché si sa che viene fuori ogni novantuno
minuti ed erutta per cinque minuti venticinquemila
litri d’acqua a un’altezza di trentacinque metri,
ma con la nonna non c’era nessuna regola ed era molto
difficile prevedere quando sarebbe venuta la sfuriata
seguente.
Per varie sere, mentre papà la riprendeva con la
videocamera, la nonna seduta in poltrona raccontò
tutto quello che si ricordava di quel terribile periodo,
e alla fine siamo anche partiti, tutta la famiglia, per un
viaggio alla ricerca delle radici e abbiamo visitato tutti
i suoi nascondigli e il momento clou di tutta la gita è
stata la visita ad Auschwitz che poi abbiamo condito
con due giorni fantastici a Eurodisney perché, come
ha spiegato papà alla mamma che non era per niente
d’accordo con questa idea dal momento che non
si mischiano la gioia e il dolore, non è bene lasciare i
bambini con un ricordo finale così devastante prima di
tornare a casa.
Il problema principale del nostro seminario familiare
è stato che la nonna non si ricordava molto,
perché lei era una bambina piccola quando i nazisti
hanno assassinato i suoi genitori e il trauma deve averle
cancellato buona parte dei ricordi. Però si ricordava
perfettamente tutti i momenti inenarrabili quando
c’era mancato pochissimo che la catturassero e lei si
era salvata solo per questo o quel miracolo.
Di anno in anno i miracoli della nonna acquisiva-
no un ruolo sempre più importante nei suoi racconti
e ogni volta che si meravigliava di nuovo per uno dei
suoi miracoli – che, se non fosse successo, allora voi,
ossia io, mia sorella e la mamma, non sareste nati –, il
papà di papà, mio nonno cosmologo, si innervosiva da
morire, nonostante che sia veramente, ma veramente
poco bello perdere la pazienza con un sopravvissuto
alla Shoah, soprattutto ora che gli stanno tagliando le
pensioni e il governo non aspetta altro che muoiano
tutti.
Ma, d’altro canto, c’è un limite alle stupidaggini
che mio nonno è disposto ad ascoltare, anche se provengono
dalla bocca di un sopravvissuto con il quale
non ci si può arrabbiare in quanto non colpevole della
sua condizione. E così, nonostante i gesti e le occhiatacce
della mia seconda nonna, sua moglie, per farlo
trattenere e non ricominciare questa polemica eterna,
mio nonno non riusciva ad arginare il suo istinto e con
tono derisorio diceva che la medaglia del miracolo della
mia nonna sopravvissuta aveva anche un’altra faccia,
la faccia dei sei milioni che sono morti, e che allora,
per favore, spiegasse di che miracolo stava parlando se
sull’altra faccia della sua medaglia erano stati bruciati
un milione di bambini.
La nonna sopravvissuta a questo punto si agitava
e gli chiedeva se adesso aveva anche la faccia tosta di
accusarla di essere responsabile di questa catastrofe, e
il nonno ribatteva che ci mancherebbe, lui non l’accusa
certo di quello che è successo e nemmeno di quello
che non è successo e forse sarebbe dovuto succedere,
ma che non c’è nessun motivo per cui l’enorme sofferenza
che un popolo ha inflitto a un altro popolo debba
dare origine a delle favole nonnesche su presunti
miracoli, questo è quanto.
La nonna a questo punto si sentiva naturalmente
offesa e gli diceva che per lui era facile parlare per-
ché lui era qua e solo chi è stato là può capire cosa è
successo là, e a questo il nonno ribatteva che grazie al
cielo non si è dovuto trovare là, ma che una cosa la sapeva
per certo anche qua: le regole della fisica esistono
e sono forti e sane qua e là e su tutti i pianeti dell’universo,
compreso quello di cui ha parlato Ka-tzetnik al
processo Eichmann, e nei posti dove operano le leggi
della fisica non ci si possono aspettare miracoli ma
solo fatti. E qui la nonna si faceva più battagliera e
gli diceva che se aveva ragione allora che le spiegasse,
con l’aiuto delle sue leggi, almeno tre casi – la volta
che quasi l’avevano scoperta nel granaio quando era
nascosta sotto al fieno e i soldati che sparavano tra le
balle furono richiamati dal loro comandante poco prima
che arrivassero alla sua balla; e la volta che stava
quasi per morire di fame sotto a un ponte nella zona
di Przemysl e una cassa piena di cibo in scatola cadde
da un camion in ricognizione che era passato sopra al
ponte; e il terzo caso, quando la stavano per inserire
nella marcia della morte, ma i russi che si stavano avvicinando
iniziarono a bombardare e i tedeschi salirono
sui camion e scapparono. Se questi non sono miracoli,
allora cosa sono? concludeva la nonna con un sorriso
trionfante, e tutti, a parte il nonno, ci affrettavamo a
concordare con lei. Ma poi volgevamo lo sguardo verso
il nonno per sentire per l’ennesima volta – chissà
quante volte l’abbiamo sentito – che i fatti della nonna
non sono miracoli, ma semplici coincidenze statistiche
che è possibile spiegare in modo scientifico con l’aiuto
della legge dei grandi numeri che stabilisce che, dato
un campo d’azione vasto, avverranno casi eccezionali
con una frequenza alta e che se definiamo un miracolo
come un evento di portata eccezionale che avviene,
supponiamo, una volta su un milione, allora ognuno
di noi può aspettarsi un miracolo all’incirca due volte
al mese. Il calcolo è molto semplice, e qui il nonno
spiegava il calcolo, che nessuno riusciva davvero a capire,
ossia: una persona sveglia vive un evento interiore
circa ogni secondo, quindi in trenta giorni, nelle
ore da sveglio, vivrà un milione e settecentomila simili
eventi, e se a questi si aggiungono i sogni il numero di
eventi interiori salirà a più di duemilioni al mese, e con
numeri di questa portata la possibilità statistica che
uno di questi eventi interiori vada a intersecarsi con
un evento esterno è molto alta, e proprio l’incontro di
questi due eventi darà l’impressione di un accadimento
miracoloso; per esempio: una bambina affamata che
durante la Shoah si nasconde sotto a un ponte su cui
passano continuamente camion in ricognizione poiché
non hanno un’altra strada a disposizione e da uno di
questi camion cade una cassa come tante altre casse
che sono sicuramente già cadute; oppure una madre
che sogna che suo figlio soldato è stato ucciso in Libano
e si sveglia al suono del campanello della porta e
trova proprio gli ufficiali dell’esercito che sono venuti
ad annunciare la morte del figlio della famiglia del piano
di sopra. In pratica, con numeri statistici di questo
tipo, l’unico miracolo è che non succedano miracoli
in numero maggiore, e detto questo il nonno conclude
spiegando che con l’aiuto di un po’ di matematica
è possibile calcolare la possibilità precisa che queste
coincidenze avvengano, a condizione di avere la giusta
educazione, cosa che non si può dire per la maggior
parte della popolazione del mondo di cui fanno parte i
presenti in questa stanza che sono un ottimo campione
per spiegare il livello scadente delle scienze esatte in
questo paese nel quale l’educazione è affidata alla signora
ministra Yuli Tamir che naturalmente viene dal
campo umanistico. E qui interveniva l’altro mio nonno,
il marito della sopravvissuta, chiedendo se quando
la ministra era Limor Livnat la situazione dell’educazione
fosse forse migliore, e il cosmologo ammetteva
che anche nel suo partito c’era gente ottusa, ma che
farci. Una visione politica giusta non è garanzia di intelligenza
e succede che le persone abbiano ragione
ma per i motivi sbagliati, e aggiungeva di non voler comunque
entrare in questa discussione ora, voleva soltanto
porre fine una volta per tutte a questa teoria dei
miracoli che inquina ogni lembo sano della coscienza e
del giudizio della società israeliana, con tutti i suoi sapientoni
e santoni che spuntano come funghi dopo la
pioggia e riscuotono il rispetto e il riconoscimento non
soltanto della gente semplice e ignorante, ma anche da
parte di figure centrali nella vita politica, economica
e sociale del paese che pensano bene di andare anche
a chiedere consiglio a questi signori come se fossero i
maestri di una generazione.
E nonostante che abbiamo ascoltato la conferenza
sulla legge dei grandi numeri un milione di volte, non
ci è mai successo il miracolo che tutti aspettiamo, e
anche per la milionesima volta non abbiamo capito la
spiegazione del nonno che a noi pare improponibile,
esattamente come l’altra possibilità, che anche noi siamo
intasati.
E allo stesso modo alla maggior parte delle persone
pare improponibile che prima del Big Bang non
esistesse niente, e che all’improvviso, quando in un secondo
è avvenuta la grande esplosione, come se scoppiassero
miliardi di bombe atomiche tutte insieme, è
iniziato tutto, le cose, le distanze tra le cose e persino il
tempo. Gli ottusi, che sono la maggior parte, si ostinano
a chiedere: «Ma se c’è stato il Big Bang, ci sarà dovuto
essere qualcosa prima, no?», e questa domanda
dimostra la stupidaggine di chi fa la domanda. Questo
non lo dico io, lo dice mio nonno, il cosmologo. E ha
ragione; anch’io credo che sono stupidi, perché se ti
si spiega un milione di volte che prima di una cosa
specifica non c’era nulla e tu continui a fissare chi te
lo sta spiegando con gli occhi di un vitello e continui a
ripetere di continuo, con il tono del genio, che se c’era
qualcosa allora doveva esserci qualcosa prima, anche
se una riposta l’hai già avuta, allora vuol dire che semplicemente
sei limitato.
Anche questo lo dice mio nonno, ma io devo di
nuovo confermare che gli do ragione; è come mettere
uno zero alla sinistra di uno zero e pensare che stai
diminuendo o ingrandendo il numero. Certe volte,
per chiudere la bocca agli idioti e porre fine alla discussione,
mio nonno diceva che prima del Big Bang
c’era il punto singolare e loro si zittivano e sorridevano
soddisfatti, naturalmente senza che nessuno di loro sapesse
che cosa sia questo punto singolare, ma intanto
si erano calmati a sentire che qualcosa che ha un nome
esisteva prima del Big Bang, anche se questo qualcosa
ha la grandezza di un punto che in realtà non ha grandezza
affatto, una cosa che tu non capirai mai in tutta
la tua vita che cos’è veramente.
La verità è che nemmeno io ho capito fino in fondo
questa storia del punto singolare, ma non l’ho rivelato
al nonno per non rovinargli l’impressione che
sono un bambino ingegnoso con il potenziale di uno
scienziato. È molto raro che pensi questo di qualcuno.
Allora si può dire che la storia di ciò che è successo
a papà è un po’ come la storia del Big Bang. La mamma
dice che è ancora più incredibile del Big Bang.
Questo succede quando si conosce meglio il caso di
papà che il caso del Big Bang e si può giungere facilmente
a conclusioni imbecilli, perché è risaputo che
dal Big Bang si è sviluppato tutto l’universo, mentre
dall’orecchio di papà è solo nato un albero d’olivo, ma
a questo arriveremo solo in seguito, quando l’albero
inizierà a crescere.


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