Una chiave per capire il nostro presente
RECENSIONE DI CLAUDIO VERCELLI - IL MANIFESTO
Émile Zola - L'affaire Dreyfus. La verità in camminoC'è qualcosa di sinistramente attuale nelle tante pagine vergate da
Émile Zola ai tempi dell'Affaire Dreyfus e che ci vengono ora
riproposte, in una sistemazione definitiva, dalla casa editrice La
Giuntina (L' affaire Dreyfus. La verità in cammino, pp. 230, euro 9,90).
La vicenda è nota al punto da non richiedere d'essere richiamata se non
per sommi capi. Nel 1894 un capitano d'artiglieria francese, Alfred
Dreyfus, ingiustamente accusato di spionaggio a favore dei tedeschi,
finisce ai lavori forzati nell'Isola del diavolo, nella Guyana francese.
Solo una intensa campagna di stampa, condotta dallo stesso Zola,
permette di riabilitarlo, liberandolo dai ceppi e riconsegnandolo alla
società civile. La quale, a onor del vero, da subito si era rivelata
poco propensa a una pacata discussione, vivacizzando invece una diatriba
che spaccò in due la nazione, tra sostenitori della colpevolezza e
innocentisti.
L'oggetto del contendere era costituito soprattutto dall'origine ebraica
dell'imputato. In un progressivo cortocircuito della comunicazione e
del giudizio, la sua radice «etnica» era stata accostata all'accusa di
tradimento e di cospirazione, traslando l'una nell'altra e viceversa, in
una sorta di reciprocità immediata tra appartenenza di gruppo e
propensione all'infedeltà. Le tensioni franco-prussiane, e le
frustrazioni maturate dal paese, non da ultima la vicenda sanguinosa
della Comune del 1871, non ancora digerita a distanza di una ventina
d'anni, erano deflagrate in una miscela esplosiva nel momento in cui
alcuni avevano ravvisato nell'identità dell'incolpevole militare il
suggello di una colpa tanto antica quanto inemendabile.
La storia, in sé tristemente banale, era così destinata a segnare un
solco profondissimo, che arriva fino ad oggi. Non a caso si fa risalire
ad essa la radice dell'antisemitismo contemporaneo. Poste queste
premesse, in quale modo la vicenda Dreyfus ci parla ancora e, non di
meno, perché? In realtà la storia che travolge l'incolpevole militare,
indifferente alla sua ascendenza ebraica, è una vera e propria cassetta
degli attrezzi della modernità. Ci sono tanti elementi che si sarebbero
incontrati successivamente, in molte altre vicende: il ruolo della
stampa e della comunicazione nell'enfatizzare e nel guidare le reazioni
della collettività; il concorso degli apparati pubblici nella
stigmatizzazione razziale del «reprobo», sancendo il nesso tra ebraicità
e condotta deviante; l'enfasi sulla dimensione del complotto, di cui
Dreyfus sarebbe stato la punta di un ben più ampio iceberg, ancora
sommerso; la necessità, sostenuta a pie' sospinto dalla destra cattolica
- alla ricerca di una precisa identità politica -, di provvedere a una
pulizia sistematica del «corpo nazionale», infettato dalle troppe
presenze straniere; la prassi di continuo depistamento attuata dalle
autorità militari e l'acquiescenza di quelle politiche.
Sul versante ideologico, ciò che viene inoculata nell'opinione pubblica è
la convinzione che la nazione, in sé «sana», sia minacciata da forze
tanto potenti quanto irriconoscibili. Di lì a non molto i «Protocolli
dei saggi anziani di Sion», artefatto della polizia politica zarista,
sarebbero intervenuti a dare sostanza a questa percezione ondivaga e
incerta, trasformandola in una solida teoria, politicamente spendibile:
sono gli ebrei a tirare i sottili fili del destino mondiale e la
liberazione collettiva passa, obbligatoriamente, attraverso
l'identificazione e la neutralizzazione dei parassiti. La storia delle
sofferenze dell'umanità si emenda attraverso una nuova forma di
giustizia sociale, che non è quella che implica la redistribuzione della
ricchezza ma lo smascheramento dei cospiratori che stanno alle spalle
della Terza Repubblica.
A una lettura ingenua il dispositivo che la vicenda Dreyfus mette in
moto, e le passioni che orchestra, esacerbandole ad arte - potevano
sembrare appartenere alla trivialità di un passato oramai superato dalla
modernità. Quest'ultima, declinata positivisticamente come progressiva
evoluzione, avrebbe infatti dovuto garantire l'emancipazione degli
spiriti dalla barbarie dell'inconsapevolezza e dell'ignoranza. In realtà
il caso del capitano francese è tutto fuorché un vuoto di coscienza,
rivelando, nella dialettica delle sue diverse parti, una intrinseca
razionalità, che bene si prestava alle esigenze di una società in
mutamento accelerato quale quella francese di fine secolo. E di
riflesso, di quelle europee e mediterranee, non da ultime le comunità
nazionali degli imperi in decadenza, dall'austroungarico all'ottomano.
In questa ottica l'affaire Dreyfuss è parte del più ampio processo di
metamorfosi ideologica del nazionalismo successivo all'età romantica,
dove alla formulazione dell'idea che una nazione andasse costituendosi,
come nel caso dei risorgimenti, attraverso l'inclusione degli individui,
si era ora sostituito il principio della definizione dei confini
materiali e culturali attraverso la selezione e l'esclusione. Il
fantasma dell'ebreo errante, nomade ma sempre uguale a sé, capace di
contaminare le società con le quali entra in contatto, che nella
pubblicistica di quegli anni prende piede, alimentandosi sia del vecchio
antigiudaismo di matrice cristiana che di nuove suggestioni, ridisegna
la funzione sociale dell'antisemitismo. Il quale diventa uno dei fattori
nella mobilitazione collettiva e nella costruzione di identità
politiche. Coeva alle vicende che coinvolgono Dreyfus è, ad esempio, la
traiettoria di Karl Lueger, carismatico borgomastro di Vienna, noto per
essere stato l'ispiratore politico di Hitler. Alla questione sociale,
posta dal movimento operaio e dal mondo del lavoro, sempre più prossimo
al transito verso la produzione di massa, subentrava l'incapsulamento
delle istanze di giustizia collettiva all'interno di una logica etnica
che avrebbe conosciuto molte fortune nei decenni successivi. Qualcosa ci
induce a pensare che la potenza di tale manipolazione non sia
tramontata, quanto meno a giudicare dall'«antica ferocia» che si annida
dietro i razzismi contemporanei, al confronto con le metamorfosi
dell'economia postfordista, in un clima di «eccezione» che livella
qualsiasi tentativo mediazione. La storia non si ripete ma il cliché
paranoide dimostra di avere una lunga durata.