Buone compagnie di viaggio (intellettuale). Nella sua forte presa di posizione contro l’assolutezza della scienza applicata alla Scrittura e, al contempo, nel suo opporsi ad ogni lettura fondamentalista della stessa, Catherine Chalier, filosofa, allieva e interprete di prim’ordine di Emmanuel Lévinas, vanta ottimi alleati. Lo dimostra il suo nuovo libro Leggere la Torà (Giuntina, pagine 158, euro 15). Già, perché in questa sua battaglia intellettuale la filosofa francese schiera diversi “pezzi da Novanta” del pensiero. E altri se ne possono aggiungere in questo suo “combattimento” per proporre una possibilità di leggere la Bibbia che sia diversa dall’asetticità del metodo storico-critico elevato a totem così come un allontanarsi da ogni lettura strumentale perché letteralista della parola di Dio. Il termine “lettura spirituale” è ciò che la Chalier propone, quasi facendo eco alle parole del padre della Chiesa Gregorio Magno, secondo il quale «la Scrittura cresce con chi la legge».
Ecco dunque gli “alleati” anti-scienza e anti-fondamentalismi della Chalier. Anzitutto Paul Ricoeur, il pensatore protestante, di cui la pensatrice ebrea ricorda l’affermazione per cui considerare la Torà come «un punto di arrivo» significa annullare il carattere “prospettico” che la Parola di Dio possiede per natura. Mentre di Franz Rosenzweig, autore della Stella della redenzione e traduttore, insieme a Martin Buber, della Bibbia in lingua tedesca, ogni ricerca sul Libro sacro deve fare i conti con un dato soprannaturale: «Per noi, come per gli ortodossi, è un’opera ispirata. Ignoriamo dallo spirito di quale persona. Che il suo autore sia stato Mosè è difficile crederlo.
Noi denominiamo quell’autore con il segno convenzionale della critica storica “R”, ossia l’ultimo redattore della Bibbia. Tuttavia, per ciò che ci concerne, quella “R” non i riferisce a quel “redattore”, essa è l’iniziale di Rabbenu (nostro maestro)». Non poteva mancare quel Lévinas di cui Chalier è stata un’originale interprete. Secondo l’autore di Il tempo e l’altro bisogna rifiutare «una certa impudenza dello spirito che si appropria selvaggiamente di un testo, senza preparazione e senza un maestro, abbordando versetto come cosa o come allusione della storia nella nudità strumentale dei suoi vocaboli, senza preoccuparsi delle nuove possibilità della loro simpatica che la vita religiosa della tradizione ha pazientemente sprigionato».
Inoltre, alla Chalier potrebbe risultare assonante la posizione degli ultimi due papi: da un lato quel “fare teologia in ginocchio” che Francesco ha indicato come un modus autentico di pensare Dio. E infatti la Chalier scrive che le formule tradizionali con cui la Cabbalà ebraica usa per indicare lo studio della Bibbia («esci e studia», «vieni e vedi») mostrano che «è necessario un movimento del soggetto, un uscire da se stessi. Questa modalità trasforma lo studio in preghiera». Dall’altro lato, anche Benedetto XVI, nel suo primo volume sulla storia di Gesù, indicava come anche la teologia cattolica dovesse uscire dalle secche del solo ricorso al metodo storico-critico per entrare nel mistero della rivelazione di Dio. E la Chalier per concordare quando scrive: «La lettura spirituale non si oppone alla ragione, non si rifà solo agli affetti, alla fantasia, al sogno o alla divagazione, incoraggia la ragione a mettersi all’ascolto di ciò che la trascende e di cui il linguaggio del libro è testimone».