In "Un romanzo per Hollywood" Hanna Krall, ricostruendo le peripezie di Isolda R., scampata ad Auschwitz, indugia su quel soprassalto di colpevole euforia da cui le era capitato di lasciarsi invadere nell'ascoltare le testimonianze dei protagonisti dei suoi reportage (...)
Benché siano entrambe dei concentrati di istinto e prepotenza affettiva, corre una sottile differenza fra la mamma italiana e quella ebrea (tradizionalmente detta yidishe mame e fornita di un’ampia mitologia tutta vera). Mentre la prima minaccia il pupo inappetente con un semplice: "Se non finisci il piatto, ti uccido!", la seconda usa un’arma assai più sofisticata ed insidiosa: "Se non mangi, mi uccido…" (...)
Avraham Sutzkever è stato: candidato al Nobel per la letteratura; eroe del movimento di resistenza del ghetto di Vilnius; partigiano nei boschi della Bielorussia; testimone al processo di Norimberga; e prima di tutto il massimo poeta yiddish e uno dei più grandi del mondo del ‘900 (...)
Ci sono dei titoli che mi incantano. Ci sono dei libri che prendo in mano, a volte senza neppure sapere chi sia l’autore, perché il titolo mi ha colpito. Trattandosi di un libro di Yehoshua Kenaz, scrittore che ammiro molto e che è stimato come uno dei più grandi scrittori israeliani, l’attrazione ha avuto un duplice motivo ed ero certa che non sarei stata delusa.
La verità sugli abitanti del quartiere la dice Tanya, la donna che confida i suoi segreti solo a Rexy, il cane che porta in giro giorno e notte: "Qui ogni persona è una storia che nessuno vuole raccontare e nessuno vuole sentire" (...)