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Alina Margolis-Edelman, pediatra del mondo da Varsavia

Una giovinezza nel ghetto di Varsavia
Wlodek Goldkorn ne scrive su L'Espresso

«Il ghetto continuò a bruciare molto a lungo, ma non si sentivano più gli spari. Proprio allora, là accanto al muro, per la prima volta nella vita mi sentii veramente ebrea. E capii che ormai per sempre, fino alla morte, sarei rimasta insieme ai carbonizzati, ai morti soffocati, ai gassati nei rifugi, a coloro che avevano combattuto ed erano morti perché non potevano non morire, a coloro il cui destino non avevo condiviso. E che cosa successe dopo? Dopo la vita proseguì sui suoi binari».


Sazio di giorni / L'ultimo romanzo di Yoram Kaniuk

Orlov, pittore fallito e incompreso, dipinge i morti su commissione. Se gli si chiedesse perché, risponderebbe: «Sono passato ai morti perché è l’unico posto in cui mi hanno accettato», oppure: «Anche Leonardo e Rembrandt hanno imparato a dipingere i morti per sapere di cosa è composta la vita; la morte devi conoscerla mentre sei ancora vivo, non quando è ormai troppo tardi». O ancora: «Io dipingo i morti perché loro non vedono il mio lavoro e non si lamentano» (...)


I vicini scomodi. Storia di un ebreo di provincia, di sua moglie e dei suoi tre figli negli anni del fascismo.

È l’estate del 1938. Nissim è un ebreo greco, da pochi anni trasferitosi in Italia. Le sue capacità gli hanno permesso di raggiungere la tranquillità economica. L’apice del suo successo è una casa di mattoni rossi che sorge nella via più elegante di Riccione, di fronte alla spiaggia e, soprattutto, a pochi metri dalla villa dell’uomo più potente dell’epoca: il Duce.


Reclute non idonee che perdono la guerra nel Paese-esercito

Susanna Nirenstein recensisce Non temere e non sperare
di Yehoshua Kenaz su Repubblica


Se un racconto epico sull’educazione collettiva dei figli di Israele, una fotografia quasi chirurgica di un gruppo di reclute israeliane con disabilità minori alla Base di Addestramento 4: siamo nel 1955, e quello è un luogo difficile e reietto per un paese votato, in quegli anni e non solo, a vedere nell’esercito il luogo principe di trasformazione fisica e mentale dell’ebreo diasporico nell’uomo nuovo e combattente di cui il neonato Stato aveva bisogno.


Un racconto affascinante, sensuale, esotico...

Marilia Piccone recensisce Il libro di Tamàr
di Shlomit Abramson su Stradanove

Se diamo un’occhiata agli scaffali delle librerie, si ha l’impressione che il genere più diffuso al momento sia quello del thriller o del noir che dir si voglia. Scandinavo, siciliano, greco, americano o cinese- commissari di ogni nazionalità si affollano sul palcoscenico delle indagini poliziesche. E però ogni tanto ci si stanca di leggere di cadaveri e di serial killer e di corruzioni e furti. E’ stata una bella sorpresa, un piacere inaspettato, prendere tra le mani “Il libro di Tamàr” di Shlomit Abramson, senza sapere che cosa avremmo letto, con solo un avvertimento recondito nella memoria davanti a quel nome, Tamàr.




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