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Ipotesi sull'assenza di ogni ideologia dietro l'eccidio ebraico

Donatella Di Cesare recensisce su Il Manifesto
Eichmann o la banalità del male di Hannah Arendt e Joachim Fest

Non senza qualche perplessità Hannah Arendt aveva accettato di seguire, come inviata del «New Yorker», il processo contro l’ex tenente colonnello delle SS Adolf Eichmann. Nel maggio del 1963 uscì il suo libro Eichmann a Gerusalemme. Il sottotitolo A Report on the Banality of Evil era destinato a suscitare accese polemiche. Perché parlare di «banalità del male»? Non si rischiava così di banalizzare persino la Shoah? E, soprattutto, non si finiva per togliere ogni responsabilità ai criminali nazisti? Oggi, a cinquant’anni di distanza, la controversia non è conclusa. Il libro che la casa editrice Giuntina ha appena pubblicato Eichmann o la banalità del male Intervista, lettere, documenti (traduzione di Corrado Badocco, pp. 214, € 14,00) è perciò uno strumento indispensabile per orientarsi: non solo offre un quadro complessivo di quelle polemiche, ma permette anche di risalire alla Germania del primo dopoguerra, poco propensa a parlare di quel che era accaduto, e restia a seguire Hannah Arendt che, a proposito della «soluzione finale», non si stancava di ripetere: «io devo comprendere».


YORAM KANIUK (1930-2013)

SUL DOLORE E SULLA PACE
Intervista a Yoram Kaniuk del 1988 al programma radio inglese Fresh Air. Traduzione a cura di Marzia Bosoni


Nato in Israele nel 1930, Yoram Kaniuk ha scritto romanzi e articoli che esploravano la guerra, 'Olocausto, Israele e la speranza di pace per Israeliani e Palestinesi. Era un convinto sostenitore del bisogno, per Israeliani e Palestinesi, di comprendere che entrambi i popoli meritano la sovranità. “Entrambe le parti hanno ragione ed entrambe le parti sono irremovibili riguardo tale diritto”, disse a Terry Gross a Fresh Air nell'agosto del 1988. Riteneva che discutere circa “chi ha sofferto di più” non fosse utile.



 


La Stella e la Menorah

Giulio Busi recensisce su Il Sole24ore
La Stella di David di Gershom Scholem

I lineamenti si confondono nella memoria. Anche del volto più bello, del viso che ci ha preso il cuore, ricordiamo a stento i dettagli, se non l'abbiamo davanti, se sorge nei nostri pensieri come un pallido lume. La distanza offusca, addolcisce, turba. E cosa di più lontano di una stella? E per di più, non stella di fuoco vero né cometa appesa al cielo, ma intrico di segni che s'annodano, capricciosi, in labirinto. Nell'astronomia universale delle luci metafisiche, dei rimpianti e dei fraintendimenti, la stella di Davide è astro di prima grandezza. Celeberrima, sfuggente, triste-gioiosa. Ostentata e indecifrabile, un vero rompicapo anche per gli esperti più agguerriti. 



Gli ebrei, protetti dai re e detestati dalla plebe

Paolo Mieli recensisce sul Corriere della Sera
"Servitori di re e non servitori di servitori" di Y.H. Yerushalmi


C' è un grande mistero nella storia della Shoah. Come è possibile che nel 1940, quando il ghetto di Varsavia ormai stracolmo fu sigillato dai nazisti, ci furono ebrei che dissero di provare «quasi un senso di sollievo»? E cosa spinse alcuni di loro a cooperare con gli aguzzini nell'amministrazione dei ghetti? Queste domande se le è poste Yosef Hayim Yerushalmi — il più grande studioso di storia e cultura ebraica del Novecento (è scomparso nel 2009), già docente alla Columbia University, nonché autore di Zakhor e di Assimilazione e antisemitismo razziale: i modelli iberico e tedesco (pubblicati entrambi da La Giuntina).




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